Aggressione a troupe Mediaset a Torino: mazza chiodata contro giornalisti mentre indagavano su Don Alì

Aggressione a troupe Mediaset a Torino: mazza chiodata contro giornalisti mentre indagavano su Don Alì

Una mazza chiodata sfonda il parabrezza di un’auto in pieno centro a Torino, mentre una troupe televisiva sta registrando un servizio. Niente feriti, ma un messaggio chiaro: chi indaga, corre un rischio. Martedì 11 novembre 2025, alle 17:30, la troupe di Dritto e Rovescio, condotto da Paolo Del Debbio e trasmesso su Rete 4 (Mediaset), è stata attaccata in corso Novara 78, nel quartiere Barriera di Milano. L’autore, un giovane uomo incappucciato, ha colpito con violenza il veicolo senza lasciare tracce. Nessuno è rimasto ferito — ma la paura sì. E con lei, un’ombra più grande: il diritto di informare è diventato un’impresa pericolosa.

Il servizio che ha scatenato l’ira

La troupe, composta da cinque persone tra giornalisti e tecnici di Mediaset S.p.A., era sul posto per indagare su Said, noto come Don Alì, un ventiquattrenne marocchino che sui social si definisce "il re dei maranza". Non un semplice youtuber: è una figura polarizzante, capace di mobilitare centinaia di migliaia di follower su TikTok e Instagram. Da mesi, il suo profilo è diventato un crocevia tra giustizia popolare e violenza virtuale. Il 21 ottobre 2025, aveva filmato un video in cui accerchiava il maestro Gianni, insegnante dell’Istituto Suore Immacolatine in via Vestignè, accusandolo di aver schiaffeggiato un bambino. "La prossima volta agiremo con i fatti, non con le parole", aveva minacciato, mentre la figlia del docente, di appena 3 anni e mezzo, guardava attonita. Il video, virale in poche ore, aveva scatenato un dibattito in Parlamento. E ora, la troupe di Dritto e Rovescio è tornata sullo stesso terreno.

Un precedente già violento

Non era la prima volta che un giornalista si confrontava con Don Alì. La settimana prima, il 4 novembre 2025, la troupe di Le Iene — sempre di Mediaset — aveva registrato un’intervista con lui, finita in un diverbio acceso. Pelazza, il giornalista, aveva chiesto conto delle minacce al maestro. Don Alì aveva risposto con un sorriso: "Io non violo la legge. Io la correggo". Nessuno sapeva se fosse una battuta. Ora, dopo l’aggressione, quel sorriso sembra un presagio. Fonti di TorinoToday.it rivelano che i giornalisti di Dritto e Rovescio avevano raccolto testimonianze da membri della sua cerchia: "Lui va lì, capisce il problema e lo risolve". Ma cosa significa "risolvere"? Uno schiaffo? Una minaccia? Un colpo di mazza?

Le indagini e il silenzio dei testimoni

I Carabinieri del Comando Provinciale di Torino hanno avviato un’indagine urgente. Le telecamere di videosorveglianza di negozi, palazzi e semafori lungo corso Novara sono state sequestrate. La Scientifica sta analizzando frammenti di vetro, impronte, persino la traiettoria del colpo. Ma c’è un problema: molti abitanti del quartiere non vogliono parlare. "Se parli, ti chiamano informatore. E non è un complimento", ha detto un residente, chiedendo l’anonimato. Il gruppo "Maranza", di cui Don Alì si dice capo, conta oltre 450.000 follower e ha già coinvolto la polizia in almeno tre casi di intimidazione a scuole e uffici pubblici. Questo non è un fenomeno di strada: è un potere parallelo, costruito con likes e video.

La reazione istituzionale

Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, ha reagito con fermezza: "L’aggressione è inaccettabile. Il diritto alla libera informazione è un pilastro della democrazia". La dichiarazione, diffusa dal portavoce del Comune in Piazza Palazzo di Città 1, ha ricevuto il sostegno di giornalisti, sindacati e associazioni della stampa. Ma la domanda che nessuno vuole fare è questa: cosa succede quando un ragazzo di 24 anni, con un cellulare e 450mila follower, diventa più potente di un sindaco? Don Alì non ha ancora rilasciato dichiarazioni. I suoi canali social sono stati silenziati — ma non per sua scelta. Sono stati disattivati da TikTok e Instagram per violazione delle linee guida. Eppure, nei commenti, qualcuno scrive: "Bravo, hai fatto quello che lo Stato non ha fatto".

Perché questo caso ci riguarda tutti

Questa non è solo un’aggressione a giornalisti. È un segnale. Un avvertimento. Se un uomo armato di mazza chiodata può colpire un’auto di una troupe televisiva senza essere identificato, e se la sua rete di supporto è così radicata da far tacere i testimoni, allora la democrazia non è più solo un sistema di elezioni. È un equilibrio fragile, dove il potere non viene più dal voto, ma dal click. E se la giustizia diventa un contenuto da condividere, chi controlla i contenuti controlla la verità. I Carabinieri non hanno ancora confermato se l’attacco fosse legato al servizio su Don Alì. Ma il sospetto è forte. E il silenzio dei social, dopo l’attacco, non è un caso.

Cosa succederà ora?

L’indagine procede, ma le piste sono incerte. Don Alì è stato sentito dalla polizia, ma non è stato arrestato. Nessuna prova diretta lo collega all’aggressione. Tuttavia, la sua rete è sotto osservazione. Intanto, Mediaset ha annunciato che la troupe tornerà in onda con un servizio speciale, intitolato "Chi ha paura dei giornalisti?". Il conduttore Paolo Del Debbio ha detto: "Non ci fermeremo. Ma non possiamo più fingere che sia solo un problema di strada". Nel frattempo, i cittadini di Barriera di Milano hanno iniziato a organizzare assemblee. Non per difendere Don Alì. Ma per chiedere che qualcuno li protegga — dai pericoli di strada, e da quelli digitali.

Frequently Asked Questions

Perché Don Alì è diventato un fenomeno nazionale?

Don Alì è diventato famoso dopo un video del 21 ottobre 2025 in cui accusa un maestro di scuola elementare di maltrattamenti, minacciando di agire con "i fatti". Il video ha scatenato un dibattito in Parlamento e ha rivelato un nuovo tipo di giustizia popolare, gestita dai social. Con oltre 450.000 follower, la sua rete si presenta come una sorta di comunità di sostegno, ma i suoi metodi — intimidazione, video virali, pressione pubblica — hanno superato i limiti della legalità.

L’aggressione è stata organizzata da Don Alì?

Al momento non ci sono prove dirette che colleghino Don Alì all’attacco. Tuttavia, l’episodio è avvenuto mentre la troupe di Dritto e Rovescio indagava proprio su di lui, e la sua rete ha già dimostrato di usare la violenza verbale e psicologica. I Carabinieri stanno verificando se l’aggressore fosse un suo seguace, ma finora nessuno è stato identificato. L’incertezza è parte del problema: quando il potere è diffuso, non serve un capo per far accadere il caos.

Perché i testimoni non parlano?

Nel quartiere Barriera di Milano, molti temono ritorsioni. Don Alì e la sua rete "Maranza" operano con un codice di silenzio: chi collabora con le istituzioni viene etichettato come "informatore" e isolato. Le testimonianze raccolte da TorinoToday.it mostrano che molti lo considerano un "risolutore" di problemi, anche se i metodi sono estremi. Questo crea un muro di paura che rende le indagini difficili, non perché la gente lo ama, ma perché lo teme.

Cosa cambierà ora che è stato aggredito un giornalista?

L’attacco ha fatto scattare un allarme istituzionale: il sindaco Lo Russo ha parlato di "pilastro della democrazia". Ma il vero cambiamento dipenderà da come la magistratura reagirà. Se si dimostrerà che gruppi come "Maranza" usano i social per intimidire e minacciare, potrebbe essere avviata un’indagine su reati di associazione a delinquere finalizzata alla violenza. Altrimenti, questo sarà solo un episodio, e altri giornalisti rischieranno di finire nel mirino.

Perché i social media hanno cancellato i profili di Don Alì?

TikTok e Instagram hanno disattivato i suoi account per violazione delle linee guida sulle minacce e sull’incitamento alla violenza. Ma non è un arresto. È un blocco tecnico, che non tocca la sua influenza. Molti follower hanno già creato nuovi profili con nomi diversi. La piattaforma ha cancellato i contenuti, ma non ha cancellato la rete. E questo è il punto più preoccupante: i sistemi digitali non sono ancora pronti a combattere un potere che non ha un nome, ma solo un hashtag.

C’è un precedente simile in Italia?

Sì. Nel 2021, a Napoli, un gruppo chiamato "I Ragazzi del Rione" aveva minacciato un giornalista che indagava su traffici di droga. L’episodio finì con una denuncia, ma senza arresti. In quel caso, la rete di supporto era più debole. Qui, la differenza è la scala: Don Alì ha un pubblico nazionale, una struttura organizzata e un linguaggio che mescola giustizia, religione e folklore urbano. È un nuovo tipo di fenomeno, e l’Italia non è preparata.

Riguardo l'Autore
Gabriele Belluomini
Gabriele Belluomini

Sono Gabriele Belluomini, un esperto nel campo dell'assistenza sanitaria con una grande passione per la scrittura. Ho dedicato la mia carriera allo studio e alla ricerca delle migliori pratiche sanitarie, con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone. Mi piace condividere le mie conoscenze e le mie esperienze attraverso articoli e pubblicazioni sul tema della salute e del benessere. Collaboro regolarmente con riviste e blog del settore per diffondere informazioni utili e aggiornate. Sono convinto che la prevenzione e l'educazione siano fondamentali per promuovere uno stile di vita sano e attivo.